Uno dei miti più insani che circondano l’amore è la sua identificazione con la dipendenza affettiva. Ecco la storia di Floriana, che ha da poco iniziato un ciclo di consulenze con noi.
“All’inizio volevo solo aiutarlo, salvarlo. Era così perso, così fragile. Pensavo che con il mio amore e il mio supporto, avrebbe trovato la forza per rialzarsi. Con il tempo, la dinamica della relazione è cambiata. Correva da me per ogni problema, ogni suo dubbio diventava qualcosa che dovevo risolvere.
Senza accorgermene ho cominciato a fare tutto al suo posto. Era in qualche modo gratificante sentirmi così indispensabile, allo stesso tempo però, era qualcosa che mi consumava, come se deviassi su di lui ogni mia energia”.
E questa frase incornicia con grande precisione uno dei problemi di fondo della dipendenza affettiva. Chi assume il ruolo di salvatore e risolutore, che è una posizione genitoriale, in un primo momento si sente importante, gratificato, ma poi non può che sentirsi prosciugato e consumato da una relazione in cui non c’è reciproco supporto ma unidirezionalità.
La dipendenza ha inoltre aspetti subdoli, perché va a investire anche il salvatore-risolutore-genitore: non solo questa figura si sente in colpa all’idea di abbandonare il partner dipendente a se stesso, togliendogli quell’indispensabile supporto senza il quale non sembra essere in grado di farcela, ma si apre dentro di sé l’angoscia, perché se decide di terminare la relazione diventa improvvisamente “nessuno”, perché perde il suo ruolo di essere fondamentale. Più va avanti la relazione e più anche il salvatore-risolutore-genitore costruisce la sua identità intorno ai bisogni dell’altro, perdendo il senso di sé. Ed ecco la sensazione di essere intrappolati e sempre più vuoti. Che è quella descrittaci magistralmente da Floriana:
“Davo sempre di più e lui prendeva soltanto. Mi sentivo sempre più vuota e continuo a sentirmi così. Me ne rendo conto, so che non posso andare avanti in questo modo, ma non riesco a fermarmi. Ogni volta che penso di lasciarlo, mi paralizza la paura di quello che gli accadrebbe senza di me. Mi dice che non può vivere senza di me, e io gli credo. E poi in qualche modo temo di non essere più nessuno senza il ruolo che ho nella sua vita. È come se mi fossi persa nel tentativo di salvarlo.”
Il primo passo è acquisire consapevolezza di essere finiti in questo tipo di circuito e Floriana lo ha già compiuto. Il secondo passo è guardarsi dentro e domandarsi: “C’è ancora amore per il mio partner? Oppure c’è solo questo?”
Nel caso di Floriana il sentimento è ancora presente, al di là degli strati di dipendenza incrociata, sacrificio e sensi di colpa. Tuttavia ha compreso con chiarezza che la relazione non può andare avanti in questi termini. È necessario un cambiamento.
Ed è il momento in cui è stato coinvolto Mario, il partner. Il quale, come può accadere a chi deve affrontare molte importanti sfide della vita, trovando in Floriana un grande supporto sia pratico che emotivo, si è “adagiato” inconsapevolmente sulla compagna. Convinto di sinceramente di vivere una partnership di mutuo sostegno e interscambio, non si è reso conto che stava regredendo invece al ruolo di bambino bisognoso di conforto e aiuto costante. Un bimbo che si rifugiava tra le braccia della compagna perché era l’unico luogo dove si sentiva al sicuro, felice, tranquillo. “Sei stata la mia ancora nella tempesta – ha dichiarato durante la sessione – stupenda, fantastica, indispensabile”. Anche Mario si è evidentemente perso in questa relazione, come è prassi che accada in queste circostanze, e dovrà lavorare molto per riscoprire il proprio valore e conquistare la propria indipendenza, trovando così la forza per essere libero di amare senza bisogno e senza dipendenza, da una posizione adulta. Che è l’unico modo di amare che non consuma e rende felici.
Mario ha compreso che ha dato Floriana per scontata, come si fa con la mamma, che sappiamo sarà sempre presente per noi e non ci lascerà mai ed è anche diventato consapevole che la classica frase: “senza di te non posso vivere” che viene tanto indicata come simbolo di un grande amore, è in realtà un’espressione che imprigiona l’altro, perché gli sta comunicando una specie di ricatto: “se mi lasci io muoio” caricandolo della responsabilità della nostra sopravvivenza, oltre che della nostra felicità e della risoluzione di tutti i nostri problemi.
In pochissime sedute Mario è riuscito a comprendere tutti questi aspetti insani e a guardare la sua relazione con Floriana da una nuova e più adulta prospettiva. Regalandole per la prima volta dopo anni delle rose rosse le ha detto: “Capisco se vuoi andare lontano e vivere una vita più semplice, guadagnandoci in salute e felicità, ma se vorrai restare, insieme possiamo cambiare le cose. Io sono pronto.”
Tutto questo in una manciata di sedute. Dove mai arriveranno Floriana e Mario, proseguendo il loro percorso con noi?